Urla nella notte (Antonella Lapomarda)

23.01.2013 20:34

 

              

È una giornata qualunque nella grande città di Londra: soliti orari, solite azioni… i marciapiedi erano pieni zeppi di persone con valigette o borse a tracolla, chi guardava l’orologio accelerando il passo, chi parlava al telefono, chi si soffermava a guardare le vetrine dei negozi …

Insomma, era una normalissima giornata , ma non per tutti. George Phelps, un ragazzo di 16 anni, desiderava da anni trasferirsi nella capitale, stufo di abitare in periferia. Aveva sempre sognato di riempire le sue giornate con della tranquille passeggiate in Hyde Park: era un ragazzo molto timido, che passava i pomeriggi a leggere un libro o attaccare poster delle sue squadre preferite alle pareti della cameretta. Appena arrivarono nella nuova casa, in Deaney Street, salì di corsa con il suo bagaglio, andando a conoscere la sua nuova camera.

Dopo 5 minuti la madre, Susan, entrò nella stanza e gli consigliò di prepararsi per il giorno dopo, che sarebbe stato il suo primo giorno di scuola.

E tra grida da una parte e l’altra e mobili spostati minimo dieci volte, la giornata passò.

George andò a letto molto presto con un peso sullo stomaco, che era tutt’altro che la poca insalata che aveva mangiato a cena.

Il giorno dopo si svegliò di buon’ora e dopo una doccia calda e una colazione abbondante andò a scuola, con la speranza di fare amicizia con qualcuno.

Arrivato lì vide un gruppetto di quattro ragazzi che sembravano avere la sua stessa età e si avvicinò presentandosi; per sua fortuna lo accolsero subito.

La giornata scolastica passò molto in fretta e George aveva già quattro amici, ma uno in particolare conquistò maggiormente la sua simpatia.

Orvoloson Riddle era perfettamente l’opposto di George, sia fisicamente, che caratterialmente, ma entrambi avevano una passione in comune: il mistero.

Erano affascinati da apparizioni sospette, ufo, fantasmi, case infestate, oggetti che si comportavano in modo strano…  Così i due si misero d’accordo per uscire la sera stessa: quel giorno si sarebbero fatti chiudere nella metropolitana, per scoprire insieme se veramente esistevano i fantasmi che spesso sentivano nominare nelle leggende metropolitane.

Ovviamente non lo dissero ai genitori: avrebbero usato entrambi la scusa di andare a dormire da un amico che teneva una festa quella sera.

George non aspettò altro per tutto il pomeriggio e, allo stesso tempo, sprizzava gioia da tutti i pori: era riuscito a fare amicizia con qualcuno che aveva i suoi stessi interessi!

Alle nove e mezzo era già davanti all’Hyde Park, luogo dell’incontro, con l’MP3 in mano e Pink  nelle orecchie a tutto volume. Dopo 5 minuti arrivò Orvoloson e insieme si avviarono verso la Metropolitana.

Durante il cammino gli fece alcune domande, per capire veramente a cosa andavano incontro…

“Come mai andiamo proprio nella Farringdon e non nella Waterloo Station?”

“No, dobbiamo andare nella Farringdon, negli ultimi anni stanno succedendo troppe cose strane lì” rispose l’amico.

“Che genere di cose? Ci sono veramente fantasmi?” insistette.

“Per ora ti dico solo che molti impiegati notturni si sono licenziati di propria volontà, e nessuno riesce a capire il perché”. George iniziò a spazientirsi a causa delle risposte poco complete di Orvoloson, ma, visto che voleva assolutamente capire anche lui cosa succedeva di notte nella metropolitana, decise di non iniziare una lite.

Dopo una buona ventina di minuti finalmente arrivarono davanti alla tanto discussa stazione della Farringdon.

Orvoloson, notò George, fece il primo passo timidamente, come se temesse che da un momento all’altro sarebbe successo qualcosa di strano, ma non accadde nulla.

Nella stazione c’era ancora qualche persona che usciva frettolosamente, o che scendeva dagli ultimi treni in azione. Fecero finta di aspettare qualcuno, e quando tutti ebbero lasciato la stazione si nascosero in un angolo buio lontano dalla porta d’entrata per non farsi scoprire dai controllori.

Dopo qualche minuto le poche luci rimaste accese si spensero automaticamente, e i due amici capirono di essere soli, tranne che per gli impiegati nei loro uffici e, probabilmente, qualche fantasma.

Orvoloson tirò fuori dalla giacca una torcia elettrica, che avrebbero usato per ispezionare la stazione, ma per le due ore successive non fecero altro che camminare e borbottare in silenzio.

“Allora mi vuoi raccontare questa storia? È vero che lo chiamano spettro urlante?” chiese George per l’ennesima volta, sottovoce, ma ogni volta si sentì rispondere la stessa cosa: “Shh, potrebbero sentirci” I due, alle 23.55, iniziarono a innervosirsi perché cominciavano ad avere sonno e non avevano ancora visto niente di strano… così tornarono nell’angolo buio dove si erano nascosti parecchie ore prima e si sedettero, osservando con sguardo vuoto i binari che avevano davanti.

Dopo qualche minuto Orvoloson notò qualcosa che a George sfuggì e si alzò di corsa per andare vicino al binario.

“Cosa c’è?” gli chiese…

“Hai sentito? Sembrava il rumore del treno!” rispose Orvoloson.

George ribatté dicendo che erano sciocchezze, ma ormai l’amico era sceso sui binari per controllare se veramente c’era un treno in azione.

D’un tratto, quando ormai tutti e due erano sui binari, videro qualcosa di perlaceo avanzare verso di loro, e con orrore si accorsero che era veramente un treno! Cercarono di risalire ma ormai era troppo tardi, e quando il treno li avrebbe dovuti investire, si sentì un urlo acuto in tutta la metro e il “treno fantasma” sparì a un centimetro di distanza dai due ragazzi.

“Cos’era quella cosa? E chi ha urlato?” chiese Orvoloson, terrorizzato.

“Non ne ho idea, andiamocene da questo posto” quasi gli urlò George.

Non avevano pensato, però, che ormai erano costretti a restare nella metro fino al giorno dopo, così dopo lunghi tentativi di aprire le porte si accasciarono a terra.

Un altro urlo, questa volta più vicino, come se la persona che lo emetteva fosse davanti a loro.

D’un tratto i due videro un ombra alla loro destra, che si avvicinava , chi poteva essere?

“Chi siete? Cosa ci fate qui?” era un impiegato notturno che, sentendo le urla, era uscito a controllare.

George e Orvoloson gli spiegarono il perché fossero nella metro a quell’ora e cosa era successo qualche minuto prima. L’uomo sospirò e li portò nel suo ufficio per stare al sicuro, almeno come credeva, facendoli la solita ramanzina che fa un genitore a un figlio.

L’ufficio era freddo e umido, con una sola sedia in pelle e schermi che mostravano tutta la Farringdon Station, che in quel momento era buia.

Dopo averli lasciati lì, l’impiegato andò a perlustrare la stazione, con una sola torcia come “arma”.

George e Orvoloson rimasero in silenzio per un po’, contemplando gli schermi e pensando a quello che avevo visto.

“Ora mi vuoi spiegare cosa succede in questa stazione, Riddle?” accennò George all’amico, e questo con un sospiro iniziò a raccontargli la storia…

“Circa 3 anni fa in questa stazione morì una donna, Merope Gaunt; non si sa come, c’è chi dice per difendersi da uno scippo, altri invece dicono che era inciampata e fu investita da un treno.

Da quella notte tutti gli impiegati notturni raccontano di sentir urlare una donna, urla di disperazione o rabbia e che succedono cose strane nella stazione. Uno di questi ci è rimasto secco: dopo settimane di lavoro qui nella Farringdon si è tolto la vita, lasciando un messaggio alla moglie dove diceva che era “terrorizzato dal suo lavoro”…

La polizia però è un po’scettica e pensa che sia una leggenda metropolitana come tutte le altre, sta di fatto però che un impiegato non dura più di una settimana in questo posto”

George non credette alle sue parole, erano davvero morte persone per via di questo fantasma? Non poteva di certo essere una messa in scena, perché avevano udito le urla e visto il treno pure loro… Restò in silenzio, mentre le parole di Orvoloson vorticavano nella sua testa senza tregua.

Dopo pochi minuti sentirono un urlo, questa volta di un uomo, che a giudicare dal tono sembrava di paura.

Corsero verso il luogo da dove era partito l’urlo e con orrore videro l’uomo di turno steso a terra, privo di sensi. Accanto a lui, in piedi, c’era una donna sulla trentina, con lo sguardo fermo sull’impiegato; l’immagine era sfocata, come se si vedesse attraverso un vetro appannato, ma sul viso si potevano scorgere occhi pieni di rabbia per quel luogo.

Dopo pochi secondi lo sguardo della donna si rivolse ai due ragazzi, che restarono immobili a guardarla. Volevano scappare, ovviamente, ma era come se le gambe si rifiutassero di muoversi.

La donna iniziò ad avanzare verso di loro con fare minaccioso, tese la mano verso i due ragazzi e quando fu a un centimetro di distanza sparì, lasciando una leggera nebbia in tutta la stazione.

George e Orvoloson non credettero a quello che avevano appena assistito, rimasero fermi in quel posto per un po’ fino a quando un altro urlo di donna li fece ritornare alla realtà.

Era acuto e ben chiaro, come se quel fantasma stesse gridando nelle loro orecchie, e così come iniziò finì, lasciando la stazione avvolta nel silenzio totale.

Si sentivano solo i respiri di George, Orvoloson e l’uomo, rimasto ancora a terra.

I due ragazzi decisero di lasciarlo lì, non sapendo come comportarsi, e si sedettero per terra, attenti  a osservare ogni millimetro di quel posto, sperando di non incontrare gli occhi di quella donna.

Passò quasi un’ora, quando i due si accorsero di una luce alla loro destra.

Ebbero un déja vù, perché avevano assistito alla stessa scena qualche ora prima, quando quell’uomo ancora privo di sensi li aveva trovati nella stazione.

L’uomo misterioso era un altro impiegato notturno che, probabilmente, sentendo tanta confusione, aveva deciso di controllare se fosse tutto apposto.

George e Orvoloson si avvicinarono a lui, e quando chiese loro cosa fosse successo e perché si trovavano lì gli spiegarono tutto, per filo e per segno.

Questi si raccomandò di stargli vicino e, quando i due gli chiesero dove stavano andando, rispose che li avrebbe portati fuori dalla Metropolitana.

George, che aveva avuto per tutta la notte un peso sullo stomaco, a quelle parole si tranquillizzò e pensò che anche Orvoloson stesse pensando la stessa cosa.

Dopo qualche minuto arrivano lì dove avevano lasciato l’uomo a terra, ma di lui non c’era nessuna traccia. Non diedero molto peso alla situazione, perché la stazione era tutta buia e non erano certi di riuscire a vedere bene tutto.

Dietro le loro spalle si sentì un rumore metallico di chiave, e quando si girarono videro la porta aperta.

“Non fatevi vedere più nella metropolitana di notte, oggi vi è andata bene. E ora andate!” il tono non ammetteva repliche, così, dopo aver borbottato un ringraziamento, uscirono velocemente da quel luogo.

A distanza di qualche mese George e Orvoloson viaggiavano sulla metropolitana di giorno, totalmente indifferenti a quel che era successo quella notte della Farringdon.

Ad un tratto, mentre parlavano, vicino a loro si sedette una donna che, pensò George, aveva già visto da qualche parte, e cominciò a raccontare una strana storia.

“Sapete, qualche anno fa è morta una donna qui, Merope Gaunt. Stava aspettando il treno come tutti gli altri, ma fu vittima di uno scippo; così, mentre si difendeva, cadde sui binari proprio quando il treno stava passando. Urlò, ma nessuno la sentì, impegnati com’erano. È stato un incidente, ma nessuno si era degnato di aiutarla, l’avevano fatta morire nella totale indifferenza. Ora ritorna giorno e notte nella stazione, cercando vendetta e facendo accadere cose strane..”

I due amici si guardarono negli occhi, pensando la stessa cosa: non poteva essere QUELLA donna.

Si girarono verso di lei per chiederle spiegazioni, ma non fecero in tempo, perché era scomparsa.

Antonella Lapomarda